Il Remojòn de San Antòn è un secondo piatto saporito e leggero, un’insalata di patate e baccalà, con olive, cipolla ed uova sode
Buon anno nuovo amici ed amiche!
Come state? Avete trascorso bene questi giorni di festa?
Io e le amiche Miria e Monica, oltre a farvi gli auguri, torniamo con il nostro bell’appuntamento con la rubrica “Alla mensa coi Santi“e, stavolta vi porto in Spagna con questa ricetta, il Remojòn de San Antòn.
Sì, perchè è Sant’Antonio il santo del quale voglio parlarvi questo mese…
Già all’inizio di questa bella avventura, la mia primissima ricetta è stata proprio dedicata a lui, Sant’Antonio, ed erano queste polpette favolose.
In Andalusia, in diverse località, Sant’Antonio si festeggia mangiando il baccalà…
Leggendo il libro Santa Pietanza, ho letto che la tradizione vuole, la sera che precede il 17 gennaio, riunirsi in famiglia e gustare il Remojòn, questa sorta di insalata a base di patate, cipolla, baccalà, olive e uovo sodo.
A volte ad esso viene anche associato un altro piatto, la careta de cerdo, ovvero il muso del maiale fritto (Il maiale è un animale particolarmente legato al Santo, poi sotto leggerete il perchè!)
Le versioni esistenti del Remojòn de San Antòn sono diverse, come accade per tante ricette della tradizione; io ho utilizzato questa che ho trovato in rete, ma ne esiste anche un’altra dove si utilizza l’arancia.
Ho trovato questa insalata ricca e saporitissima, un piatto unico assolutamente speciale, che vi consiglio di provare.
Antonio abate è uno dei più illustri eremiti della storia della Chiesa; nacque a Coma, nel cuore dell’Egitto, intorno al 250.
A vent’anni abbandonò ogni cosa per vivere dapprima in una plaga deserta e poi sulle rive del Mar Rosso, dove condusse vita anacoretica per più di 80 anni: morì, infatti, ultracentenario nel 356.
Già in vita accorrevano da lui, attratti dalla fama di santità, pellegrini e bisognosi di tutto l’Oriente; pensate che anche Costantino e i suoi figli ne cercarono il consiglio.
La sua vicenda è raccontata da un discepolo, sant’Atanasio, che contribuì a farne conoscere l’esempio in tutta la Chiesa.
Per due volte lasciò il suo eremo: la prima per confortare i cristiani di Alessandria perseguitati da Massimino Daia, la seconda, su invito di Atanasio, per esortarli alla fedeltà verso il Conciliio di Nicea.
Anche se probabilmente fu il primo a instaurare una vita eremitica e ascetica nel deserto della Tebaide, sant’Antonio ne fu senz’altro l’esempio più stimolante e noto, ed è considerato il caposcuola del Monachesimo.
Visse nella Tebaide fino al termine della sua lunghissima vita; poté seppellire il corpo dell’eremita san Paolo di Tebe con l’aiuto di un leone e per questo è considerato anche patrono dei seppellitori.
Negli ultimi anni accolse presso di sé due monaci che l’accudirono nell’estrema vecchiaia. Morì a 106 anni, il 17 gennaio del 356 e fu seppellito in un luogo segreto.
Conoscitore profondo dell’esperienza spirituale di Antonio, fu sant’Atanasio (295-373) vescovo di Alessandria, suo amico e discepolo, il quale ne scrisse la biografia, fonte principale di ciò che sappiamo di lui.
Nell’iconografia è raffigurato circondato da donne procaci (simbolo delle tentazioni) o animali domestici (come il maiale), di cui è popolare protettore.
Si venera e si festeggia il giorno 17 di gennaio, ed è patrono degli eremiti, dei monaci, dei seppellitori e dei pompieri.
I suoi emblemi sono il maiale, la campana, il bastone pastorale e la croce a T; la “tau” ultima lettera dell’alfabeto ebraico e quindi allusione alle cose ultime e al destino.
Una leggenda popolare, che collega i suoi attributi iconografici, narra che sant’Antonio si recò all’inferno, per contendere l’anima di alcuni morti al diavolo. Mentre il suo maialino, sgattaiolato dentro, creava scompiglio fra i demoni, lui accese col fuoco infernale il suo bastone a forma di “tau” e lo portò fuori insieme al maialino recuperato: donò il fuoco all’umanità, accendendo una catasta di legna.
Nel 561 fu scoperto il suo sepolcro e le reliquie cominciarono un lungo viaggiare nel tempo e nello spazio, da Alessandria a Costantinopoli, fino ad arrivare in Francia, nell’XI secolo, a Motte-Saint-Didier, dove fu costruita una chiesa in suo onore.
In questa chiesa affluivano a venerarne le reliquie folle di malati, soprattutto affetti da ergotismo canceroso, causato dall’avvelenamento di un fungo presente nella segale, usata per fare il pane.
Il morbo, oggi scientificamente noto come herpes zoster, era conosciuto sin dall’antichità come “ignis sacer” (“fuoco sacro”) per il bruciore che provocava.
Per ospitare tutti gli ammalati che giungevano, si costruì un ospedale e venne fondata una confraternita di religiosi, l’antico ordine ospedaliero degli ‘Antoniani’; il villaggio prese il nome di Saint-Antoine de Viennois.
Il Papa accordò agli Antoniani il privilegio di allevare maiali per uso proprio e a spese della comunità, per cui i porcellini potevano circolare liberamente fra cortili e strade; nessuno li toccava se portavano una campanella di riconoscimento.
Il loro grasso veniva usato per curare l’ergotismo, che venne chiamato “il male di s. Antonio” e poi “fuoco di s. Antonio”. Per questo motivo, nella religiosità popolare, il maiale cominciò ad essere associato al grande eremita egiziano, poi considerato il santo patrono dei maiali e per estensione di tutti gli animali domestici e della stalla. Sempre per questa ragione, è invocato contro le malattie della pelle in genere.
Nel giorno della sua memoria liturgica, si benedicono le stalle e si portano a benedire gli animali domestici. In alcuni paesi di origine celtica, sant’Antonio assunse le funzioni della divinità della rinascita e della luce, Lug, il garante di nuova vita, a cui erano consacrati cinghiali e maialii. Perciò, in varie opere d’arte, ai suoi piedi c’è un cinghiale.
Patrono di tutti gli addetti alla lavorazione del maiale, vivo o macellato, è anche il patrono di quanti lavorano con il fuoco, come i pompieri, perché guariva da quel fuoco metaforico che era l’herpes zoster.
Ancora oggi il 17 gennaio, specie nei paesi agricoli e nelle cascine, si usano accendere i cosiddetti “focarazzi” o “ceppi” o “falò di sant’Antonio”, che avevano una funzione purificatrice e fecondatrice, come tutti i fuochi che segnavano il passaggio dall’inverno alla imminente primavera. Le ceneri, poi raccolte nei bracieri casalinghi di una volta, servivano a riscaldare la casa e, tramite un’apposita campana fatta con listelli di legno, per asciugare i panni umidi.
Dal sito Santi e beati.it
Remojòn de San Antòn
Ingredienti
- 2 patate lesse non tanto grandi
- 1 uovo sodo
- 1/4 cipolla bianca
- 300 g filetto di baccalà già dissalato
- q.b peperoncino secco non tanto piccante
- 3 cucchiai olive nere
- q.b sale fino
- q.b olio extravergine d'oliva
- q.b aceto bianco
Istruzioni
- Per prima cosa prendere il baccalà dissalato precedentemente e metterlo in una pentola coperto con acqua fredda; accendere la fiamma, portare ad ebollizione e cuocere il pesce per pochissimi minuti.Spegnere successivamente la fiamma, lasciarlo intiepidire nella sua acqua (circa una decina di minuti) e succesivamente scolarlo, sbriciolandolo poi grossolanamente con le mani.
- Fare a tocchetti le patate e distribuirle in due piatti singoli o due ciotole; sbriciolare le uova sode dopo averle tagliuzzate ed aggiungerle alle patate.Affettare la cipolla finemente e distribuire anch'essa nei due piatti (o ciotole), insieme ad un po' di peperoncino secco tritato grossolanamente.
- Aggiungere in ogni piatto il baccalà sbriciolato, le olive nere, sale, olio extravergine d'oliva ed un goccio d'aceto a piacimento. Mescolare ben bene e servire.
Note
Questo il nostro banner; io lo metterò a lato destro del blog così potrete cliccarci sopra per vedere tutta la raccolta delle nostre ricette.
Inoltre, ogni primo giorno del mese, la nostra rubrica arriverà puntuale da tutti voi (questo mese abbiamo deciso, viste le festività, di farla uscire eccezionalmente il 4); ognuna di noi vi parlerà di una ricetta legata ad un Santo in particolare, cercando di comporre anche un piccolo menù.
Miria questo mese ci realizzerà una ricetta tipica della sua terra l’Umbria, il Torcolo di San Costanzo;
Monica invece ci parlerà di San Gaudenzio, con il pane di San Gaudenzio, appunto.
Come sempre vi ricordo anche la nostra bella mappa interattiva che potrete visionare qui
Spero quindi che il mio Remojòn de San Antòn vi sia piaciuto e soprattutto di avervi fatto scoprire qualcosa in più relativamente alle tradizioni della nostra bella Italia, ma in questo caso, anche dell’Europa!
Provatelo, è davvero molto buono!
Io come sempre vi aspetto su queste paginette pasticcione e vi dò appuntamento alla prossima idea…
Un caro saluto e a presto
2 commenti
Eccomi, finalmente sono riuscita a passare a leggere la tua stupenda ricetta. Davvero gustosa!
Un abbraccio
Grazie di cuore cara, buon anno e…un abbraccio!